Prezzo massimo di cessione CAPITOLO TERZO

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La Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n.13345/2018 è tornata nuovamente a ribadire i principi già espressi nel precedente oramai famoso a sezioni Unite n.18135 del settembre 2015

Anche in questa ultima sentenza si prende a riferimento la legge n.448/1998 art.31 comma 49 bis per trarne la nullità relativa della clausola del prezzo della compravendita o del contratto preliminare superiore al prezzo massimo di cessione imposto ex lege n.865/1971.

Dalla nullità, secondo un corredo di argomentazioni già collaudato, si giunge alla sostituzione della clausola relativa al prezzo dichiarata nulla con il prezzo massimo dell’immobile venduto o promesso in vendita .

Più interessante è invece l’ordinanza del Tribunale di Roma sez X in data 17 aprile 2018

Questa ordinanza affronta un problema che si è venuto a porre di frequente.

Gli acquirenti degli immobili soggetti al vincolo del prezzo massimo che sono stati acquistati a prezzo libero di mercato fino al settembre 2015 , preferiscono di gran lunga andare a richiedere al loro venditore la differenza tra il prezzo pagato ed il prezzo massimo, in quanto, soprattutto a Roma per vendite non troppo risalenti la cifra è può arrivare a sfiorare le centinaia di migliaia di euro.

Il venditore di fronte a tali richieste può essere costretto a versare cifre quindi molto consistenti di cui non è in possesso.

Inoltre per coloro che hanno effettuato le loro vendite anteriormente alla legge del 1998 non vi è stata mai la possibilità di affrancare il vincolo del prezzo massimo.

Ciò porterebbe ad una ingiustificata diversità di trattamento rispetto a quanti hanno acquistato successivamente con inevitabile violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Nella fattispecie decisa dal tribunale di Roma la vendita era stata effettuata per il prezzo di euro 275.000 a fronte di un prezzo massimo di euro  109.082,55 quale prezzo massimo di cessione.

L’acquirente aveva pertanto richiesto la restituzione di euro 177.240,84 a fronte di un corrispettivo richiesto dal Comune per l’affrancazione del vincolo di circa euro 8.000.

Il Tribunale pertanto ravvisando da parte del soggetto acquirente che richiede la restituzione un abuso del diritto respinge la richiesta della somma di euro 177.240,84  e condanna il venditore al pagamento del corrispettivo per l’affrancazione di euro 8.000 più le spese .

Questo orientamento si basa pertanto sul concetto di abuso del diritto in base al quale colui che esercita un diritto lo deve fare entro i doveri di correttezza e buona fede.

Non può cioè esercitare il suo diritto allo scopo di ottenere un arricchimento ingiustificato con conseguente sproporzionato sacrificio dei diritti della controparte

Pertanto ove l’acquirente pretenda euro 177.240,84  quando potrebbe conseguire lo stesso risultato, se non una situazione addirittura più vantaggiosa con l’affrancazione, che esporrebbe il venditore ad un sacrificio economico di euro 8/10.000 euro  , ecco che si configura un abuso del diritto.

Ed il Tribunale ha pertanto correttamente condannato il venditore al pagamento della minore somma.

Pertanto a mio avviso tale pronuncia non si pone in contrasto con il filone giurisprudenziale della suprema Corte , ma in considerazione della facoltà dell’acquirente che ha versato un prezzo maggiore di valersi tanto del diritto alla restituzione dell’indebito, quanto il diritto al risarcimento del solo prezzo di affrancazione , applica il principio dell’abuso del diritto.