La risoluzione di donazione. quali effetti?
Risoluzione della donazione per mutuo dissenso
Uno dei principali motivi per cui continua ad alimentarsi l’annoso dibattito intorno alla configurabilità o meno di una risoluzione consensuale di un contratto a effetti reali immediati, e segnatamente di una donazione, è che da più parti si ritiene sia questa la strada migliore per favorire una libera circolazione degli immobili di provenienza donativa.
La problematica scaturisce da un lato dall’incremento di atti di donazione a seguito della soppressione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni[1]; dall’altro dal fatto che a fronte di questo incremento continua a persistere nell’ordinamento una tutela reale tenace delle ragioni dei legittimari[2], così che il donatario di un bene immobile ha normalmente difficoltà ad alienarlo o a costituire su di esso diritti di garanzia. Il tutto con evidente compromissione della libera circolazione dei beni in questione.
Né è valsa a risolvere questi stringenti problemi la riforma degli articoli 561 e 563 del Codice Civile, tanto che in dottrina si è parlato di “aspettative tradite”[3] dalla legge in discorso, la n. 80 del 2005.
Di fronte a questa situazione normativa è evidentemente nell’autonomia privata e nella creatività dell’operatore giuridico che va trovata una soluzione concreta a un problema concreto.
La dottrina ha proposto diversi rimedi che offrono all’avente causa dal donatario una tutela di tipo risarcitorio (si pensi alla fideiussione del donante), mentre meno semplice è l’ottenimento di una tutela reale del terzo.
A tal fine la dottrina più recente ha promosso a rimedio idoneo la risoluzione per mutuo dissenso della stessa donazione, di modo che, con una sorta di finzione giuridica, si possa considerare il bene immobile come mai uscito dal patrimonio del donante: ripristinando lo status quo ante ed eliminando dal mondo giuridico l’avvenuta donazione, il bene può essere trasferito (allo stesso soggetto che era donatario oppure a un terzo) attraverso meccanismi onerosi che non impingano nelle maglie della tutela dei legittimari.
La risoluzione per mutuo dissenso in generale trova la sua fonte normativa nell’articolo 1372 comma 1°, in base al quale il vincolo negoziale può essere sciolto solo per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Sebbene la norma abbia una formulazione generica e non distingua tra contratti a effetti reali e contratti a effetti obbligatori, la sua applicabilità ai primi è controversa, dal momento che autorevole dottrina ritiene che non sia nella disponibilità delle parti incidere su effetti già interamente prodottisi. Se è pacifica la configurabilità del mutuo dissenso nei negozi a effetti obbligatori o nel caso di prestazioni che non abbiano avuto un inizio di esecuzione, arduo appare a questa parte della dottrina giustificare sul piano dogmatico il ricorso a tale strumento per incidere sugli effetti già prodotti.
Avvalendosi dell’art. 1321, il quale nel disegnare la nozione di contratto parla, tra l’altro, dell’accordo volto a estinguere un rapporto giuridico patrimoniale e considerando che, a rigore, il rapporto si estingue automaticamente quando le prestazioni sono interamente adempiute e le parti soddisfatte, suddetta dottrina ritiene impossibile rimuovere retroattivamente gli effetti (reali) già prodottisi e incidere dunque su un rapporto oramai esaurito. Come a dire che non trova alcuna giustificazione un contratto estintivo di un rapporto già estinto. L’accento sull’estinzione del rapporto ovviamente non è casuale, dal momento che la teoria in questione non mette in dubbio la validità dell’atto da cui il rapporto è nato e la sua esistenza, validità e rilevanza giuridica.
L’unico modo che le parti avrebbero per ottenere un risultato simile (si badi: simile, non identitco) alla risoluzione della donazione per mutuo dissenso sarebbe allora un contrarius actus, un contronegozio dal contenuto speculare all’atto da risolvere[4] che neutralizzi quest’ultimo in modo da invertire le posizioni contrattuali. In altri termini, per il contratto che qui interessa, il donatario dovrebbe restituire quanto ricevuto attraverso una controdonazione in cui assuma le vesti di donante. Pur partendo da premesse logiche apparentemente solide, la soluzione lascia perplessi non solo sotto il profilo economico ma anche e soprattutto in quanto anziché risolvere i problemi legati alla tutela dei legittimari del primo donante li duplica, entrando in gioco, paradossalmente, anche la tutela dei legittimari del secondo donante. Il prospettato contrarius actus avrebbe non la causa dello scioglimento del precedente contratto, che è quella voluta dalle parti, bensì quella del trasferimento. Si è soliti fare riferimento ad un noto esempio di Capozzi[5] per evidenziare la lontananza tra un siffatto contronegozio e la volontà risolutiva delle parti: «Tizio dona a Caia, sua amante, alcuni gioielli. Troncata la relazione per il comportamento offensivo di Tizio, Caia non vuole più possedere quei doni ed entrambi, d’accordo, ne decidono la restituzione. E’ assurdo ravvisare nel loro accordo una nuova donazione e ritrovare, perciò, un anacronistico animus donandi in Caia che ormai odia Tizio, come, d’altra parte, è assurdo pensare che l’ordinamento giuridico non consenta loro altro mezzo per raggiungere l’intento che perseguono».
La teoria che sostiene la natura di contrarius consensus della risoluzione in discorso è stata autorevolmente affermata sia in dottrina sia in giurisprudenza[6]. Essa afferma non solo la possibilità di sciogliere per mutuo consenso un contratto immediatamente produttivo di effetti reali, ma anche, a fortiori, l’insita retroattività di tale risoluzione: se le parti concludessero una controdonazione, evidentemente tale autonomo atto non potrebbe che avere effetti ex nunc ed essere soggetto a tutte le formalità richieste dalla legge; ma se esse eliminano dal mondo giuridico la donazione, allora agiscono per definizione sul passato, eliminando un titolo e facendo residuare in capo al soggetto che era stato donatario una detenzione materiale e un dovere restitutorio in quanto troverebbe applicazione l’art. 2037 sull’indebito oggettivo[7]. Nessun ritrasferimento, quindi, e così nessuna necessità della forma e delle clausole previste appunto per i contratti che producono un trasferimento o una modifica di diritti reali immobiliari.
La teoria del contrarius consensus retroattivo trova conforto normativo anche nella lettera dell’art. 2655, il quale, proprio con riferimento alla pubblicità immobiliare, stabilisce che la risoluzione di un atto trascritto o iscritto deve essere annotata a margine della trascrizione o iscrizione, e che è titolo per tale annotazione non solo la sentenza, ma anche la convenzione da cui “uno dei fatti sopra indicati” risulta. Dalla norma in esame molti autori[8] hanno tratto la conclusione di un implicito accoglimento da parte del legislatore della teoria del contrarius consensus, dal momento che se la convenzione da cui risulta la risoluzione fosse stata considerata come contrarius actus, essa sarebbe rientrata nell’articolo 2643 fra gli atti oggetto di autonoma trascrizione.
A conferma di questa ultima interpretazione è giunta la sentenza della Corte di Cassazione Sezione V datata 6 ottobre 2011.(9)
Tale sentenza per la prima volta prende posizione sul tema qui esaminato ed afferma ” La risoluzione convenzionale integra , infatti , un contratto autonomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente liberandosi del relativo vincolo e la sua peculiarità è di presupporre un contratto precedente fra le medesime parti e di produrre efetti estintivi delle posizioni giuridiche create da esso.
L’effetto ripristinatorio è , peraltro, espressamente previsto ( art.1458 c.c.) per il caso di risoluzione per inadempimento anche dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, non essendo dato pertanto riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo ad efficacia reale ….”
Tale sentenza pertanto sposa chiaramente la tesi del negozio risolutorio con effetti retroattivi ponendo una prima e significativa pietra per la risoluzione dei problemi derivanti dalla circolazione degli immobili oggetto di donazione.
Ci si è posti in dottrina il problema della tutela dei terzi aventi causa dal donatario, giungendo alla necessaria conclusione che se il donatario ha in qualche modo disposto del bene donato, allora non ha più alcuna legittimazione a stipulare una risoluzione per mutuo dissenso[10]; mentre se egli non ha compiuto atti dispositivi del bene, allora non si pongono problemi di tutela dei terzi, i quali possono venire a conoscenza dell’avvenuta risoluzione proprio attraverso l’annotazione a margine della trascrizione della donazione. Da ultimo può osservarsi che in ogni caso il contratto – e dunque anche la risoluzione per mutuo dissenso – ha effetto solo fra le parti, per cui non può incidere (direttamente) sulla sfera giuridica dei terzi.
E’ opportuno da ultimo segnalare che anche l’Agenzia delle Entrate si è espressa confermando tale interpretazione della Suprema Corte con risoluzione del 14 febbraio 2014 che si trova in altra pagina di questo sito
[1] Ad opera della L.342/2000 e della L.383/2001. Per la riflessione intorno all’aumento numerico delle donazioni a seguito dei suddetti provvedimenti e per il collegamento tra tale incremento e l’aggravarsi del problema della tutela degli acquirenti di immobili di provenienza donativa cfr. a titolo esemplificativo M.CAMPISI, Azione di riduzione e tutela del terzo acquirente alla luce delle LL. 14 maggio 2005 n. 80 e 28 dicembre 2005 n. 263 in Riv. not., 2006, pp.1269 ss.; A.MAGNANI, La risoluzione della donazione per mutuo dissenso, in Riv. not., 2004,I, pp. 113 ss.
[2] E’ diffusa in dottrina la constatazione dell’anacronismo di siffatto sistema. Per una critica forte si veda F.GAZZONI, Competitività e dannosità della successione necessaria, su www.judicium.it, il quale definisce “medioevale” e “incivile” il sistema italiano della tutela reale dei legittimari. Cfr. anche F.ANGELONI, Nuove cautele per rendere sicura la circolazione dei beni di provenienza donativa nel terzo millennio, in Contratto e impresa, 2007, pp. 933 ss.
[3] Cfr. G:BEVIVINO, Le aspettative tradite dalla riforma degli articoli 561 e 563 del c.c., in Notariato, 5/2007, pp.573 ss. Si può brevemente osservare, senza addentrarsi troppo nelle lacune della riforma in discorso, che essa non scalfisce in modo significativo la tutela reale dei diritti dei legittimari: basti pensare che la principale novità prevista dal legislatore è il consolidamento dell’acquisto del terzo, consolidamento che però può avvenire solo decorsi ben venti anni dalla trascrizione dell’acquisto del terzo e purchè in questo termine i potenziali legittimari del donante non facciano una opposizione stragiudiziale che, sospendendo il termine, consenta loro di conservare la tutela reale. Permane peraltro la norma imperativa dell’art. 557, che vieta la rinunzia all’azione di riduzione finchè il donante è in vita. Ove poi si accetti la tesi, paventata in dottrina e comunque minoritaria, per cui, in assenza di una disciplina transitoria, la novella sarebbe applicabile solo alle donazioni effettuate dopo la sua entrata in vigore (15 maggio2005), si dovrebbe concludere che questa pur tenue tutela degli aventi causa da donatari varrebbe a consolidare gli acquisti dal 2025 in poi.
[4] La teoria del contrarius actus è sostenuta, per fare alcuni esempi, da: MIRABELLI, Il contratto in generale, Torino, 1980, p.290; RUBINO, La compravendita, Milano, 1962. pp.871 ss. Sotto la vigenza del vecchio Codice la tesi per cui le parti non possono eliminare effetti negoziali già verificatisi è stata autorevolmente sostenuta da DEJANA, Contrarius consensus, in Riv.dir.civ. 1939, pp. 104 ss.
In giuririsprudenza cfr. Cass. 20 dicembre 1988 n. 6959; Cass. 7 marzo 1997 n.2040, in cui si dice, a proposito della richiesta della forma scritta della risoluzione di un contratto di trasferimento per mutuo consenso in quanto con essa si attua un «nuovo trasferimento»; parla di «ritrasferimento» anche Trib. Catania del 26 gennaio 1983, con commento di G.DE RUPERTIS in Vita not., 1984, pp.809 ss.; da ultimo cfr. Cass. 30 agosto 2005 n. 17503: «il mutuo dissenso – cui le parti pervengono per la reciproca convenienza di non dare ulteriore corso all’affare – realizza, per concorde volontà, la ritrattazione bilaterale del contratto, che si concretizza in un nuovo contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario, di cui neutralizza gli effetti».
[5] G.CAPOZZI, Il mutuo dissenso nella pratica notarile, Vita not. 1993, pp.635 ss. L’Autore sottolinea, tra l’altro, che la teoria del contrarius actus si basa sull’«assioma» della irreversibilità degli effetti negoziali già prodotti.
[6] In dottrina cfr. G. CAPOZZI, op.ult.cit.; A. LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano, 1980; BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952; C.M.BIANCA, Il contratto, Milano, 1984; SANTORO PASSARELLI, op. cit., p.217, che fa un breve riferimento all’efficacia ex tunc del negozio risolutorio; F.PATTI, Il mutuo dissenso, in Vita not. 1999, pp.1658 ss.; A.MAGNANI, op. cit.; C.TOMMASETTI, I negozi risolutori di secondo grado e i contratti ad effetti reali, in Obbligazioni e contratti 2009, pp. 152 ss. In giurisprudenza: Cass. 11 dicembre 1998 n.12476, per cui se normalmente l’accordo di mutuo dissenso è efficace ex nunc una diversa volontà delle parti può determinarne l’efficacia ex tunc. Nello stesso senso Cass. 29 aprile 1993 n.5065 e Trib. Macerata, decreto 2 marzo 2009. La giurisprudenza si è inoltre spesso occupata del problema della forma del mutuo dissenso, il che sottointende una considerazione del mutuo dissenso non come autonomo contratto (nel qual caso non si porrebbero problemi di forma) ma come contratto di scioglimento: Cass. 28 maggio 1983 n. 3692; 24 novembre 1983 n. 7047; 16 dicenbre 1986 n.7551; 6 giugno 1988 n. 3816; Ss.Uu. 28 agosto 1990 n. 8878; 7 marzo 1992 n.2772; 7 marzo 1997 n. 2040; 11 aprile 2006 n. 8422
[7] Così G. CAPOZZI, op. cit. Una tesi alternativa è quella per cui, essendo il mutuo dissenso inidoneo a produrre il trasferimento del bene in capo all’originario donante, tale passaggio dovrebbe avvenire attraverso un secondo negozio di adempimento rispetto all’obbligo restitutorio creato col mutuo dissenso: cfr. F.GAZZONI, La trascrizione immobiliare, sub. art. 2643, in Commentario, a cura di SCHLESINGER, Milano, 1998, p. 419: «Se il mutuo dissenso obbliga a concludere un negozio di ritrasferimento, sarà quest’ultimo negozio a dover essere trascritto (…). Esso, infatti, non si identifica in una compravendita o una donazione a parti invertite, ma in un negozio astratto di trasferimento solutionis causa, giustificato causalmente dal pregresso accordo di mutuo dissenso. Si è in presenza, quindi, di un c.d. pagamento traslativo (…)»
[8] G.CAPOZZI, op. cit., p. 638: «L’ammissibilità di una convenzione risolutoria si ritrova testualmente , con particolare riferimento proprio al trasfermento dei beni immobili, nella norma dell’art. 2655 primo comma, la quale, in materia di trascrizione, dispone che la risoluzione di un atto trascritto o iscritto deve essere annotata a margine alla trascrizione o alla iscrizione dell’atto stesso e aggiunge (art. 2655 ultimo comma) che l’annotazione si opera sia in base alla sentenza sia in base alla convenzione da cui risulta “uno dei fatti sopra indicati”, vale a dire anche in base alla convenzione da cui risulta la risoluzione»
(9) Notariato 2013 p 138 e ss.
[10] Se nonostante ciò si arrivasse a stipulare un contratto di mutuo dissenso, comunque, i diritti dei terzi sarebbero salvi in base al principio di relatività degli effetti di cui al 1372 C.c., cos’ come avviene nella risoluzione per inadempimento (art. 1458 C.c.)
Valerie Stella De Caro