L’esclusione del socio nella srl
La questione trae origine da alcuni casi verificatisi nella pratica professionale nei quali ci si è imbattuti in una clausola statutaria di esclusione del socio nella srl che operi in maniera automatica.
La problematica che si è subito posta riguarda I notevoli problemi pratici che ne derivano :
– la possibilità di modificare il valore nominale della quota degli altri soci accrescendola in proporzione alla quota del socio escluso ( nell’ipotesi in cui la quota venga acquistata , automaticamente e proporzionalmente alle rispettive quote);
– la possibilità di trasferire a terzi la quota ipso iure ( nell’ipotesi in cui la quota venga acquistata ,da un soggetto diverso );
Il mutamento di titolarità automatico , vuoi a beneficio di altri soci, vuoi a beneficio di un terzo, secondo il sistema attuale si rivela confliggente con la disciplina in materia di registro delle imprese e comunque mal si inquadra con l’inquadramento prevalente dell’istituto ;
– la regolarità delle assemblee che si tengono durante il procedimento di esclusione , in base alla soluzione che si darà in ordine alla possibilità di una esclusione che operi ipso iure.
In primo luogo possiamo pensare di poter prevenire possibili controversie in materia inserendo apposite clausole che disciplinino e colmino le notevoli lacune che l’art.2473 bis c.c. rivela all’interprete.
E per indicare concrete soluzioni pratiche agli operatori del diritto è necessario procedere ad una ricostruzione della fattispecie dell’esclusione volontaria del socio nelle srl e delle conclusioni a cui è giunta la dottrina in materia.
L’ESCLUSIONE DEL SOCIO NELLA S.R.L.
Uno dei profili di emersione della personalizzazione della società a responsabilità limitata operata attraverso la riforma del 2003 consiste nella possibilità di inserire nell’atto costitutivo clausole di esclusione volontaria del socio ex art. 2473 bis, che si aggiungono all’esclusione legale di cui al 2466. La ratio e la disciplina dei due tipi di eslcusione sono profondamente diverse: l’esclusione legale per il mancato versamento dei conferimenti tutela interessi non solo interni bensì anche esterni alla società, in quanto viene in considerazione l’interesse dei creditori sociali all’integrale versamento dei conferimenti e quindi all’effettività del capitale sociale quale garanzia patrimoniale loro spettante. Per questa ragione la fattispecie in discorso non prevede margini di scelta e dunque neanche competenze decisionali in capo all’assemblea dei soci: sono direttamente gli amministratori, quali responsabili dell’effettività del capitale sociale, a potere e dovere[1] svolgere il procedimento previsto per la mancata esecuzione dei conferimenti, il quale include espressamente anche la vendita coattiva delle quote del socio moroso e diffidato[2]. Essi, per espressa previsione legislativa, possono dunque disporre delle partecipazioni del socio e così operare a prescindere dalla collaborazione dello stesso, con notevole semplificazione della procedura.
La possibilità di inserire nell’atto costitutivo e nello statuto “specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio” di cui al 2473 bis, invece, è uno strumento che i soci in sede di costituzione o modifica dell’atto costitutivo possono decidere di sfruttare per meglio conformare il tipo sociale alle loro specifiche esigenze (valorizzazione dell’autonomia statutaria) e per meglio modulare il peso di fattori attinenti alla persona dei singoli soci all’interno della compagine sociale (centralità della figura del socio)[3]. Questa valenza prettamente interna ha comportato un certo disinteresse del legislatore verso il procedimento di esclusione concretamente adottato nello statuto, al punto che la dottrina è discorde nel rintracciare un modello operativo che possa applicarsi nel caso di lacune dello statuto stesso. Tale difficoltà è acuita dal fatto che il tipo sociale della s.r.l. è fortemente contaminato da elementi propri delle società di persone, e che proprio la norma in questione è frutto di tale contaminazione[4]. A fronte dell’ampio spazio lasciato all’autonomia statutaria laddove gli interessi in gioco sono quelli interni dei soci, però, il legislatore ha posto alcuni vincoli a tutela del socio singolo e dei creditori sociali, e da qui è utile partire per individuare e risolvere i principali problemi che possono presentarsi sia in sede di redazione della clausole di esclusione convenzionale sia di fronte ad eventuali lacune statutarie.
INDIVIDUAZIONE DELLE CAUSE DI ESCLUSIONE
A tutela del singolo socio è posta la regola per cui le clausole di esclusione devono essere connotate dalla specificità e dalla giusta causa. A ciò si può aggiungere che le stesse, in quanto regole di organizzazione, devono essere astratte, ossia potenzialmente riferibili a situazioni in cui possano versare tutti i soci o categorie di soci. In dottrina si è discusso circa la connotazione “oggettiva” o “soggettiva” della giusta causa. E’ prevalente l’orientamento per cui la giusta causa non deve essere valutata genericamente in base al comune e oggettivo apprezzamento, bensì in base alla specifica caratterizzazione voluta dai soci, i quali meglio di tutti conoscono le esigenze della società e possono dunque trovare nella previsione di clausole di esclusione ad hoc uno strumento flessibile e unico per valorizzare tali esigenze. Va da sé che le cause di esclusione devono comunque attenere al vincolo sociale e ad un possibile pregiudizio dell’attività sociale che possa verificarsi a seguito delle previste ipotesi[5]. La flessibilità dello strumento non consente di tener conto di tutte le cause di esclusione concretamente adottate nella prassi, ma solo delle più frequenti: si va dall’esclusione per svolgimento di attività concorrente da parte di un socio a quella per sopravvenuta inabilitazione, interdizione e amministrazione di sotegno; da quella per fallimento o pignoramento della quota a quella per cancellazione da un albo professionale o sopravvenuta impossibilità di adempiere la prestazione d’opera o trasferire la proprietà del bene conferito in natura. E’ inoltre frequente l’esclusione del socio amministratore a causa di gravi irregolarità nella gestione, sebbene la dottrina non sia concorde nel ritenerla ammissibile[6].
SPECIFICITA’
Il requisito della specificità è richiesto dal legislatore per inibire scelte statutarie che affidino la decisione sulla permanenza di un socio all’interno della compagine sociale all’arbitrio della maggioranza (o degli amministratori)[7]. Nella prassi la specificità è esclusa allorchè la clausola sia formulata in modo così generico da lasciare ampio spazio alla discrezionalità interpretativa: è sicuramente carente del requisito della specificità una clausola che preveda l’esclusione per inadempimento[8], o per una non meglio specificata giusta causa, o ancora per “condotta riprorevole”[9].
Ulteriore elemento di tutela del singolo socio uscente è il rimando ai criteri di valutazione della liquidazione ad esso spettante stabiliti nell’art. 2473 sul recesso del socio. Si tratta di criteri idonei ad assicurare una determinazione della quota il più vicino possibile al suo reale valore di mercato.
A tutela dei creditori sociali è posto invece il divieto inderogabile di procedere alla liquidazione del socio escluso mediante riduzione del capitale. Come notato in dottrina tale scelta legislativa, opposta a quanto previsto per il recesso e l’esclusione legale, se da un lato è generalmente giustificata dalla tutela dell’interesse dei creditori a non vedersi ridurre la garanzia generica costituita dal capitale sociale, risulta in realtà incoerente sia con la libertà di riduzione del capitale della s.r.l. concessa, con i dovuti accorgimenti, dal legislatore della Riforma[10], sia con la ratio dell’esclusione “per giusta causa”: se tale giusta causa sussiste e se la società non ha riserve disponibili con cui liquidare il socio escluso né gli altri soci (o terzi) vogliono acquistare la sua quota, inibire totalmente la riduzione del capitale significa aprire la strada al paradosso per cui o il socio non può essere escluso pur in presenza della giusta causa[11], o la società deve sciogliersi, il che sembra a dir poco eccessivo rispetto alla finalità perseguita. Ulteriore complicazione conseguente al divieto di liquidazione della quota del socio escluso mediante riduzione del capitale si avrebbe poi nel caso in cui la situazione delineata di insufficienza delle riserve e impossibilità di vendere le quote ai soci o a terzi si verificasse in presenza di una clausola di esclusione formulata in modo da dover operare automaticamente al verificarsi della giusta causa in capo ad uno dei soci: qui il paradosso sarebbe insuperabile, perché l’operatività automatica della clausola di esclusione, precludendo ogni margine di discrezionalità degli organi sociali sull’opportunità o meno di procedere, renderebbe contraria allo statuto sociale la mancata esclusione, seppure giustificata dalla carenza di risorse utilizzabili per la liquidazione; d’altro canto la legge impone che tale liquidazione avvenga affinchè possa perfezionarsi l’eslcusione stessa, quindi la sua mancata effettuazione configurerebbe una situazione contra legem. Si arriverebbe inevitabilmente ad affermare ancora la necessità dello scioglimento della società, per cui uno strumento pensato per la tutela dei creditori finirebbe per ritorcersi contro la società nell’insieme e dunque, in ultima istanza, contro i creditori stessi[12]. Salvo ritenere che lo scioglimento della società che versi in una simile situazione sia indirettamente consequenziale ad un giudizio negativo del mercato, come può accadere nel caso di recesso del socio: «nel caso concreto gli altri soci non intendono acquistare la partecipazione del socio receduto (…), non sono in grado di reperire un terzo a ciò disposto e neppure il rimborso è possibile utilizzando risorse disponibili della società (…) se vi è una giustificata opposizione dei creditori (che preclude il ricorso alla riduzione del capitale sociale, ndr), ne risulta una situazione in cui né all’interno della società, né sul mercato si valuta conveniente fornire la società di mezzi finanziari idonei a consentirne la sana sopravvivenza; in cui cioè il mercato stesso òa giudica inefficiente e ritiene che la sua messa in liquidazione non rappresenta una perdita per il sistema economico nel suo complesso»[13]. Con la precisazione, però, che nel caso del recesso si può arrivare ad una simile situazione non perché la legge preclude a priori il ricorso alla riduzione del capitale, ma a seguito di una valutazione fatta dai creditori sociali allorché presentano la loro opposizione alla riduzione ai sensi dell’art. 2482. Il che è ben diverso: nel caso dell’esclusione tale scelta non è lasciata nemmeno ai creditori, dal momento che il legislatore non li ha voluti onerare dell’opposizione[14].
SCONSIGLIABILE INSERIRE L’AUTOMATICITA’ DEGLI EFFETTI
Alla luce di queste considerazioni risulta quanto mai opportuno redigere la clausola di eslcusione volontaria in modo che essa non debba operare mai automaticamente al verificarsi della giusta causa, dovendo piuttosto regolarsi un vero e proprio procedimento di esclusione, che non può prescindere dall’accertamento di fatto sull’effettivo verificarsi dell’evento, ma anche e soprattutto da una valutazione organizzativa e di merito da parte dell’assemblea dei soci. La non operatività automatica della clausola di esclusione e, soprattutto, la circostanza per cui la decisione di escludere un socio coinvolge aspetti non meramente gestionali bensì anzitutto di opportunità, potendo l’esclusione comportare un grave dissesto economico e addirittura, per quanto si è detto prima, lo scioglimento della società stessa, inducono a ravvisare una competenza naturale dell’assemblea dei soci nel procedimento di esclusione, negando invece una competenza diretta degli amministratori ove non esplicitamente prevista nello statuto. Infatti, sebbene parte della dottrina abbia ritenuto di applicare analogicamente la disciplina dell’art. 2466 sull’esclusione legale, la quale affida agli amministratori la competenza del procedimento di esclusione[15], la dottrina maggioritaria ritiene che, in difetto di previsione statutaria, la decisione di esclusione sia una competenza dei soci e che l’analogia tra 2473 bis e 2466 non possa portare ad affermare una competenza “di default” degli amministrarori in quanto la ratio delle due norme è profondamente diversa, per cui l’interpretazione analogica non risulta fondata.
La conclusione della competenza naturale in capo all’assemblea assimila l’esclusione del socio di s.r.l. a quella del socio di società di persone, e, sebbene sembri la più plausibile per i motivi indicati[16], non ha un sicuro appiglio testuale, rientrando piuttosto nel vuoto normativo cui si è accennato sopra[17]. L’assimilazione così operata è comunque assolutamente coerente con una innovazione normativa volta ad «accentuare la caratterizzazione personalistica della società, attribuendo maggiore rilievo ai vincoli fiduciari»[18], «a dimostrazione che il legame personale può indurre la compagine sociale omogenea ad assumere provvedimenti drastici al mutare della condizioni che sottintendono tale fiducia, ciò anche a scapito della stabilità patrimoniale della società»[19].
Non sfugge che l’accoglimento di una simile interpretazione implica ulteriormente l’applicazione analogica dell’art. 2287, in base al quale nel calcolo della maggioranza necessaria per deliberare l’esclusione non si computa la quota posseduta dal socio escludendo[20]. E’ comunque opportuno prevedere la partecipazione in contraddittorio del diretto interessato, al fine di consentirgli l’esercizio del suo diritto di difesa. Inoltre, ancora per estensione analogica del 2287, se la società è formata da soli due soci, l’esclusione di uno dei due non può essere rimessa alla decisione dell’altro, per cui è il Tribunale a doverla pronunciare.
Alcuni prolemi operativi si sono posti all’attenzione di coloro i quali si sono dedicati allo studio dell’esclusione nelle srl a causa della eccessiva sinteticità della normativa della riforma.
In primo luogo la disciplina legislativa nulla dispone circa il diritto di voto del socio che ha subito la ” decisione” di esclusione nelle more del procedimento, nè sui diritti cosiddetti amministrativi ( diritto agli utili, ecc.) ed in materia il suggerimento è quello di prevedere la privazione del diritto di voto ed il congelamento degli altri diritti;
in secondo luogo si pone spesso la difficoltà di superare ex post l’atteggiamento ostruzionistico del socio escludendo:
accettando la tesi per cui non è corretta l’applicazione dell’art. 2644 al caso di specie si arriva a negare non solo la competenza degli amministratori sulla decisione di esclusione, ma anche che essi possano avere ex lege il potere di disporre delle quote del socio escludendo, trattandosi di diritti altrui.
Se a tal proposito lo statuto non preveda alcunchè e se la liquidazione debba essere effettuata non con riserve disponibili della società (magari appositamente accresciute con versamenti dei soci acquirenti) bensì mediante l’acquisto di terzi, si renderà necessaria la collaborazione del socio escluso per la stipula della cessione delle sue quote . A fronte di un atteggiamento di ostruzionismo se non di rifiuto in tal senso, l’unica via percorribile sarebbe quella di adire il giudice per sentirlo pronunciare la sentenza costitutiva di cui al 2932 sull’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, con tutti i tempi che ne conseguono e con le incertezze applicative di tale ultimanorma alla materia che ci occupa. Né può ritenersi che la mancata collaborazione del socio escluso sia un’ipotesi remota, considerando che la stessa esclusione è il culmine di una grave degenerazione dei rapporti sociali e che perfino il generico interesse a collaborare per incassare le somme liquidate può mancare nel socio uscente per una serie di ragioni [21].
CONCLUSIONI
E’ allora quanto mai opportuno seguire il suggerimento di attenta dottrina notarile[22] sulla previsione, ex ante, di una clausola da inserire nello stauto che attribuisca agli amministratori la rappresentanza volontaria e dunque un mandato in nome e per conto dei soci esclusi a cedere le quote e gestire la liquidazione. Tale mandato, come sottolineato dalla stessa dottrina, sarebbe da considerare irrevocabile in quanto conferito parzialmente nell’interesse della società[23]. La suddetta clausola, inoltre, non necessita di specifica approvazione da parte di eventuali nuovi soci, facendo parte dello statuto che gli stessi sono tenuti a rispettare in quanto membri della compagine sociale. In tal modo si può riprodurre con un’apposita clausola statutaria il sistema che la legge predispone per l’esclusione del socio moroso (art. 2466), offrendo alla società uno strumento agile per superare l’ostilità del socio escluso e garantendone allo stesso tempo la liquidazione.
Ugualmente opportuno appare statuire nello statuto durante il procedimento la impossibilità del socio escluso di esercitare il diritto di voto ed il diritto a godere dei diritti amministrativi.
Alla luce di quanto sopra esposto ritengo che l’inserimento nello statuto della s.r.l. di clausole che comportino l’esclusione del socio in manieraautomatica non solo si scontrino contro insormntabili problemi di carattere pratico ma si possano considerare di dubbia legittimità
[1] Nel caso di inerzia gli amministratori saranno responsabili nei confronti della società e dei terzi ex art. 2476.
[2] E’ opportuno precisare che il procedimento previsto dal 2466 si articola in diverse fasi, e infatti dapprima: «se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni. Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione della loro partecipazione la quota del socio moroso (…). In mancanze di offerte per l’acquisto, se l’atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all’incanto». Già i possibili esiti di questa prima parte del procedimento sono in sostanza di esclusione del socio intesa come scioglimento del vincolo sociale, dal momento che «la qualità di socio risulta inscindibilmente connessa con la titolarità della partecipazione» (M. CITROLO, La disciplina statutaria dell’esclusione del socio nella s.r.l., Studio 212/2008 approvato dalla Commissione studi d’impresa il 18 giugno 2009, pag. 5). Quella che è però l’esclusione in senso tecnico è disciplinata nel prosiueguo dell’articolo: «se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori eslcudono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente». Anche qui c’è uno scioglimento del rapporto sociale con riferimento al socio moroso, con la differenza che deve esserci una riduzione del capitale sociale essendo venute meno, con l’esclusione, anche le partecipazioni corrispondenti ai conferimenti non versati dal socio e non recuperati in altro modo per mancanza di acquirenti. Quanto alle somme precedentemente riscosse e trattenute ad opera degli amministratori, è da ritenere che vadano imputate a riserve straordinarie. In conclusione a fini di semplificazione si può affermare che seppure l’esclusione vera e propria sia quella che comporta la riduzione del capitale sociale, «deve comunqueritenersi acquisita una nozione sostanzialmente unitaria dell’esclusione, quale si desume dal complesso delle norme in esame, che ha riguardo al fenomeno dello scioglimento del vincolo sociale rispetto ad un singolo socio, quale che sia la tecnica utilizzata per l’estromissione» (M. CITROLO, ib.).
[3] Non a caso l’art. 2473 bis è spesso portato in dottrina come argomento per sostenere il passaggio, attraverso la Riforma del 2003, della s.r.l. da “piccola società perazioni” priva di una propria individualità giuridica a “società personale a responsabilità limitata” del tutto inedita. Cfr. in tal senso: ASS. DISIANO PREITE, Il nuovo diritto delle società, Bologna, 2003, p. 243; F. ZABBAN, Art. 2473-bis in Codice commentato delle s.r.l. a cura di P. Benazzo e S. Patriarca, Torino, 2006.
[4] «E’ indubbio che la scelta dei soci introduca, nello «statuto» della società a responsabilità limitata, un istituto sostanzialmente pensato e disciplinato, sino a questo momento, in termini quasi esclusivi, per le società di persone (…). Alla luce di quanto osservato, comunque, pare quanto mai attuale un’analisi dell’istituto in tema di s.r.l. alla luce delle esperienze maturate in tema di società di persone» (C. ESPOSITO, L’esclusione quale strumento generale di exit societario, in Riv. Not. 2004, pp. 261 ss. Nel dilemma circa l’applicazione analogica delle norme sulle società di perone o di quelle in materia di cooperative, risulta utile l’indicazione di F. CASALE, L’esclusione del socio nella società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2009, 816 ss., per cui «bisogna considerare l’assetto personalistico ocapitalistico concretamente voluto e adottato dai soci (19). Nel primo caso, all’esclusione potranno applicarsi per analogia gli artt. 2286-2289 c.c.; nel secondo, la conclusione pare meno salda, non potendosi escludere a priori un richiamo agli artt. 2533 e 2535 c.c. che, sebbene dettati per un tipo societario mutualistico, disciplinano la vicenda in un contesto caratterizzato da un’organizzazione societaria di tipo corporativo».
[5] Per l’interpretazione soggettiva della giusta causa cfr.: F. MAGLIULO, Il recesso e l’esclusione, in La riforma delle s.r.l., AA.VV., Milano, 2007, p. 298; F. SPEZIA, Esclusione per giusta causa del socio dalla s.r.l. (www.diritto.it): «L’esclusione diventa il frutto di una scelta negoziale più o meno ampia, dettata dalla necessità dipreservare determinati connotati professionali, familiari o comunque soggettivi dei soci (…). Quindi un fatto che è qualificato come giusta causa di esclusione in una società, può essere del tutto irrilevante in un’altra. Così ad esempio il sopraggiunto limite di età potrà integrare una ipotesi di esclusione in una società dove è importante l’apporto lavorativo del socio, essere invece irrilevante quando il conferimento ha un carattere meramente finanziario».
[6] «L’exit passivo si presta ad essere utilizzato anche quale strumento di controllo sui soci amministratori che — in ragione di atti di mala gestio — si ritiene debbano essere esclusi addirittura dalla compagine sociale e non dalla sola vicenda gestoria» (C. ESPOSITO, L’esclusione quale strumento generale di exit societario, cit., p.269). Per un’ampia casistica delle clausole di esclusione cfr. ib., nonché M. CITROLO, La disciplina statutaria dell’esclusione del socio nella s.r.l., cit., G. A. M. TRIMARCHI, Appunti sulle specifiche e giuste cause di esclusione dalle s.r.l., e sul relativo procedimento, in SRL: pratica, casi e crisi, atti del Convegnodella Fondazione del Notariato del 21 febbraio 2009, pp. 56 ss.
[7] Si veda C. ESPOSITO, ib., p. 266, per un richiamo alla giurisprudenza che, già in tema di società cooperative, ha sancito la nullità delle clausole di esclusione troppo generiche.
[8] «A differenza che nella disciplina legale delle società di persone, ove l’inadempimento costituisce una causa generale di esclusione, ed il legislatore si occupa di tipizzare solo gli eventi diversi dall’inadempimento (…), l’espressa scelta legislativa in tema di s.r.l. prescrive l’indicazione specifica anche dei comportamenti che possono essere ascritti alla categoria dell’inadempimento» (M. CITROLO, op. cit., p. 3). «Almeno sotto un primo aspetto, quindi, la fattispecie non assume la stessa “generalità” attribuitagli in sede di società di persone, non presentandosi — dato il tenore letterale dell’art. 2473-bis c.c. — come uno strumento, generale e generico, di reazione ad un qualsiasi e non predeterminato contegno del socio, in conflitto con gli interessi sociali» (C. ESPOSITO, L’esclusione quale strumento generale di exitsocietario, cit., p. 264). Ricordiamo, infatti, che nelle società di persone ex art. 2286 l’esclusione del socio può essere una reazione della compagine sociale a “gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale” oltre che a mutamenti dello status personale del socio e a vicende relative ai conferimenti. Sull’importanza del controllo del notaio, che «ha la possibilità di rifiutarsi di stipulare l’atto costitutivo che preveda ipotesi di eslcusione non gravi o addirittura risibili», nonché per una panoramica della casistica, si veda B. ACQUAS, L’esclusione del socio nelle società, Milano, 2008, p. 231.
[9] Per una panoramica casistica sulla specificità si veda M. C. LUPETTI, L’intervento del notaio nelle nuove s.r.l., IPSOA, 2008, pp. 97 ss. In giurisprudenza Trib. Milano 31 Gennaio 2006 ha ritenuto ammissibili e dotate di specificità sia delle clausole di esclusione per ostruzionismo in sede assembleare, sia delle clausole di esclusione del socio «che abbia commesso gravi inadempienze che impediscano il raggiungimento dello scopo sociale o (…) abbiano inciso negativamente sullasituazione della società rendendone meno agevole il perseguimento del fine». Tale orientamento è criticato in dottrina in quanto l’ampiezza della dicitura lascia inevitabilmente spazio ad interpretazioni arbitrarie, con elusione sostanziale della norma che, prescrivendo il requisito della specificità, vuole tutelare il socio proprio da tale arbitrio.
[10] «Nella nuova disciplina delle s.r.l. la riduzione reale del capitale sociale è, di regola, del tutto svincolata, oltre che dal tradizionale presupposto dell’esuberanza, anche dall’obbligo di motivazione (…). La disciplina dell’esclusione, invece, sembra al contrario rendere rilevante la motivazione, laddove vieta la riduzione reale deliberata al fine di rimborsare la quota del socio escluso», F. MAGLIULO, Il recesso e l’esclusione, cit., p. 307.
[11] Non è isolata in dottrina l’affermazione per cui in assenza di risorse economiche per liquidare il socio, l’esclusione non può essere attuata, e dunque l’interesse della maggioranza dei soci a far valere la giusta causa di esclusione deve cedere di fronte a quello, giudicato prevalente dal legislatore, dei creditori sociali. E’ però di tuttaevidenza che non solo, come vedremo più avanti, possono esserci clausole di esclusione destinate a operare automaticamente, ma anche che se la giusta causa di esclusione si è verificata, e se a priori la relativa clausola era stata prevista per tutelare l’efficienza dell’attività sociale, la conclusione (pur necessitata dallo stato attuale della normativa) di precludere l’esclusione stessa finisce per nuocere alla società nel suo complesso.
[12] Il che rende opportuno evitare la previsione di clausole destinate a operare in modo automatico e a prescindere da un momento di delibera assembleare. Infatti: «la previsione di clausole di esclusione automatica, nel caso in cui si dovesse poi riscontrare l’impossibilità di liquidare il socio escluso sia con l’acquisto da parte dei socio di terzi, sia con le riserve, può condurre ad una enpasse difficilmente superabile, in quanto la cessazione della qualità di socio che non siastato rimborsato è contraria alla legge, mentre la conservazione della qualità di socio sarebbe contraria all’atto costitutivo. La clausola quindi va sempre formulata nel senso di condizionare l’esclusione alla possibilità di procedere alla liquidazione entro il termine di legge» (M. CITROLO, op. cit. pag.13)
[13] Relazione al D.lgs. 17 Gennaio 2003 n. 6, p. 38
[14] A ben vedere i creditori non hanno strumenti di reazione alla decisione di esclusione e dunque non possono sindacare in alcun modo le scelte di esclusione fatte a priori nello statuto.
[15] Cfr. O. CAGNASSO, Commento agli artt. 2473 e 2473 bis in Il nuovo diritto societario, Torino, 2004, p. 1848; D. GALLETTI, per i quali nel silenzio dello statuto la competenza spetterebbe agli amministratori in analogia a quanto accade nell’esclusione legale del socio moroso. Contra C. ESPOSITO,L’esclusione quale strumento generale di exit societario, cit., p. 262; PAPPA MONTEFORTE, L’esclusione del socio nella “nuova” s.r.l., in Notariato 6/2003 Pp. 652 SS., il quale richiama l’argomento dell’art. 2479, co.2, n.5, che affida alla competenza assembleare le decisioni che comportino una “rilevante modificazione dei loro diritti”
[16] Propende per questa tesi anche F. MAGLIULO, Il recesso e l’esclusione, cit., p. 301.
[17] Una terza via sarebbe quella di affidare la verifica dei presupposti di esclusione all’autorità giudiziaria, ma certamente non può ritenersi che in assenza di unaspecifica previsione statutaria in tal senso sia questa la regola applicabile, sia per l’assenza di una indicazione normativa espressa, sia in quanto per principio generale è l’assemblea a dover ponderare gli interessi della società, e sicuramente la decisione di esclusione deve essere presa tenendo presente sial’opportunità dell’esclusione del socio, sia la sopportabilità economica della sua liquidazione.
[18] PISCITELLO P., Recesso ed esclusione nella s.r.l. in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portuale, v. 4, p.735, Torino, 2007.
[19] E. RICCIARDELLO, Il socio amministratore di s.r.l., p. 104, Milano, 2008.
[20] Si veda F. MAGLIULO, Il recesso e l’esclusione, cit., p. 302, il quale in nota 100 richiama anche gli Orientamenti del Comitato del Triveneto dei Notai in materia di atti societari, per cui «non è ammissibile la clausola che impedisca al socio – di cui si vuole deliberare l’esclusione – la partecipazione all’assemblea relativa. Detto socio non avrà il diritto di voto ma avrà il diritto di impugnare la delibera». Per TRIMARCHI, op. cit., l’applicazione analogica del 2287dovrebbe estendersi anche al calcolo della maggioranza per capi e non per quote. La dottrina maggioritaria, tuttavia, è orientata verso un calcolo per quote, salvo diversa previsione statutaria.
[21] Ad esempio nei casi in cui le somme dovute al socio escluso sarebbero compensate da somme dovute dallo stesso a titolo di penale, ove prevista.
[22] F. MAGLIULO, Il recesso e l’esclusione, cit., pp. 104 ss.
[23] A fronte di ciò verrebbe spontaneo chiedersi se non sussita un conflitto di interessi fra rappresentato e rappresentante, tale da invalidare la soluzione prospettata; in realtà, come sottolinea F. MAGLIULO, ib.: «una volta deliberata l’esclusione (…) e una volta determinato il valore del rimborso (…), la società non avrebbe più alcun interesse in conflitto con il socio escluso».
Dott.ssa Valerie Stella De Caro
Notaio Fabrizio Bissi